mercoledì 30 settembre 2015

Vikings: E' tempo di salpare verso Ovest



I Vichinghi, fiero popolo di guerrieri, sono ricordati storicamente per le scorrerie medioevali sulle coste delle isole Britanniche, della Francia e di altre parti d'Europa e a loro è stata dedicata un’attenzione da parte del cinema nel corso degli anni non sempre costante, focalizzata per lo più a cavallo degli anni ’50 e ’60 e poche sono state le eccezioni degne di nota negli ultimi anni. Anche quando tali eccezioni si sono verificate (esempi validi sono Valhalla Rising di Nicolas Winding Refn o Il 13° guerriero di John McTiernan) l’obiettivo dei registi è sempre stato quello di rappresentare questo strano ed affascinante popolo in vicende dai toni onirici o quasi fantastici, piuttosto che dare un saggio più tendente allo ‘storico’ di questi popoli scandinavi. Vikings, serie televisiva Canadese, è uno show promosso da History, che vuole quindi porre una base storicamente ‘credibile’ nel realizzare una serie tutta dedicata a questo grande popolo di navigatori e, nel farlo, sfocia nella leggenda, facendo ruotare la storia attorno alla figura semi-leggendaria (seppur credibile) di Ragnar Lothbrok.

Creata da Michael Hirst, la serie ha fin’ora goduto di 3 stagioni, con una quarta in arrivo nei primi mesi del 2016, ed è personalmente uno dei miei show in costume preferiti, assieme al Trono di Spade e Black Sails.

La vicenda ha inizio nel 793 dopo Cristo alla vigilia dell’estate. Per i popoli navigatori di Norvegia, Svezia e Danimarca questo è un periodo nel quale ci si prepara alle scorrerie verso Est.
I saccheggi dei villaggi costieri infatti corrispondono all’attività più redditizia nel corso dell’intero anno. I popoli dell’Est si stanno però via via sempre più impoverendo, e non tutti ormai sono felici della scelta dello Jarl di continuare ad indicare quei territori come meta delle scorrerie, ma le possibilità di scelta sono piuttosto limitate. Un uomo però, Ragnar Lothbrok, proporrà quasi in toni di sfida al suo governatore locale, lo Jarl Haraldson, di navigare quest’anno verso Ovest, e di credere a quelle voci riguardanti una vasta e ricca terra pronta per essere saccheggiata, dall’evocativo nome di Inghilterra. La decisione, prima ostacolata, verrà presa in dovuta considerazione, e le coste del Mare del Nord inizieranno a tingersi di sangue.

Vikings racconta quindi, in chiave romanzata, le avventure del guerriero vichingo Ragnar Lothbrok, una di quelle figure che nella storia, grazie alla scarsità di documenti scritti, sono finite a cavallo tra la realtà e la leggenda. La storia di questo guerriero, viene collocata in un periodo storico del tutto accurato, ossia nelle date di espansione vichinga avvenuta tra l’VIII ed il IX secolo, quando i popoli norreni arrivarono effettivamente a toccare il Regno di Northumbria, regione dell'Inghilterra settentrionale facente parte dei Sette Regni Anglo-Sassoni.



Tanti sono i pregi di questo show, in primis abbiamo una ricostruzione naturale ed autentica di ambientazioni e costumi, tutto girato su set reali con pochissima se non praticamente inesistente computer grafica. Frequenti, violente e ben realizzate sono le scene di battaglia, decisamente il punto forte di tutto il lavoro. Infatti, se possiamo dire che Il Trono di Spade sia un cocktail con 8 parti trama ed intrecci e 2 parti combattimenti, per Vikings è vero esattamente il contrario. Abbiamo un basilare concetto di alleanze e ostilità, le quali vengono sempre ed immancabilmente risolte nel sangue. Ma per ‘basilare’ non intendo stupido, ma solo ‘semplice’, come probabilmente semplici erano davvero le politiche tra i clan Vichinghi dell’epoca. Mi attacchi? Allora mi vendico. Parti per un saccheggio lasciando le tue terre prive di difese? Allora ti invado. E cose di questo genere.

Positive le perfomance degli attori, con un Travis Fimmel convincente nei panni del fiero Ragnar e partecipazioni d’eccezione come il vincitore del Golden Globe Gabriel Byrne nel controverso ruolo del cupo sovrano Haraldson. Personalmente poi, sono innamorato perso di Lagertha, una bellissima e fiera Katheryn Winnick. Menzione speciale va anche alla sigla di apertura, una sequenza video spettacolare sia per impatto visivo che musicale, con la canzone If I Had a Heart dell’artista svedese Fever Ray, in grado di creare un’atmosfera epica e sognante, per una delle opening più convincenti mai viste.

Tirando le somme su Vikings, se in vita vostra avete goduto nel vedere qualsiasi film di battaglie con spade e scudi, sappiate che questa è la serie più “combattivamente” meglio realizzata in circolazione. Ci tengo anche a dire che non perde di mordente nel corso delle stagioni, anzi, forse addirittura migliora. Se possedete anche solo un minimo di passione per le fiction a sfondo storico e non avete in antipatia i Vichinghi per qualche motivo (a meno che non vi abbiano saccheggiato il villaggio, in quel caso mi scuso), non esiste alcun motivo per privarvi della visione di questo sanguinario ed avvincente show.


martedì 29 settembre 2015

Tank Girl: La fine del mondo tra nudità e canguri mutanti



Esistono i film simpatici, ed esistono i film capolavoro. 

I capolavori sicuramente valgono tutto il tempo investito a guardarli, ma sono visioni non da tutti i giorni. Necessitano spesso di impegno, di voglia, di molta attenzione ma, come ho già detto, poi sanno ricompensarvi.
Ma oggi io vi parlerò solamente di un film simpatico, senza pretese, da vedere anche con una minima soglia di impegno ed attenzione, ma che con molta probabilità finirà poi per conquistarvi: Tank Girl.

Se apprezzate il ‘mood’ degli anni ’90, di quel cinema scanzonato in grado di mettere in piedi action improbabili a suon esplosioni, con quel mix di bellissimi effetti speciali artigianali e coraggiosi primi esperimenti di computer grafica, non cercate oltre, perché ho un ottimo consiglio per voi.

Questo divertente Tank Girl, del 1995 ad opera di Rachel Talalay, è un film tratto da un omonimo fumetto Britannico di culto, e ci racconta la storia di una ragazza in un futuro post apocalittico, e del suo carro armato. Nel 2033, per colpa di una cometa, la Terra è ormai un pianeta quasi totalmente desertico e, a fare il bello e il cattivo tempo con ciò che è rimasto, ci pensa una delle ultime Corporazioni nota come W&P (Water and Power) che ha privatizzato il controllo di tutta l'acqua che è rimasta sul pianeta, che ormai vale oro. Ma non tutti vogliono sottostare al suo potere e vivere negli ultimi agglomerati urbani scampati all’apocalisse, ci sono anche persone che si 'arrangiano’ e Rebecca (la nostra Tank Girl) è una di queste. Lei abita in una piccola comunità di ribelli, che riesce a procurarsi l'acqua tramite un allaccio abusivo alla rete della W&P e trascorre, tra amori ed amicizie, la sua esistenza, fino a quando la tranquillità del suo rifugio non verrà turbata.



Tank Girl è un mix di azione, humor e toni sexy a parer mio assolutamente riuscito, e di rara originalità. Questa visione del futuro, un po’ punk, un po’ pazza, è in grado di coinvolgere, e il merito va anche all’azzeccatissima attrice protagonista, Lori Petty, che offre una performance veramente da ricordare. La Tank Girl da lei interpretata è un antieroe dalla battuta facile, sempre pronta a fornire, in qualunque occasione, riposte da ‘stupida ma furba’ che immancabilmente non potranno che strapparvi un sorriso.

Anche tecnicamente poi il film, nel suo stile, è girato davvero bene e da anche sfoggio (in alcuni intermezzi ben distribuiti) a sequenze girate come cartoon, che ben accompagnano l’atmosfera generale del tutto, che tende molto al ‘fumettistico’.
Ottime e variegate persino le musiche, con più di 12 artisti (Bjork, Portishead, Ice-T, Devo…) tra hip-hop, punk e sperimentale, per una colonna sonora di tutto rispetto, come di tutto rispetto è anche il cast, con la partecipazione di personalità del calibro dell’immortale icona Malcolm McDowell nel ruolo del cattivone, o di una giovane Naomi Watts. 

Però vi ripeto, come dicevo all’inizio, che con Tank Girl siamo nel campo dei film simpatici, non dei capolavori. Dovete far parte di quelle persone che sanno prendere il cinema anche con leggerezza, che non si chiedono come faccia MacGyver a costruire una bomba con un laccio da scarpe e una matita, ma che si godono l’esplosione. Se fate parte di questa schiera, allora date una chance a Tank Girl la prossima volta che volete staccare la spina, vi divertirà.

Il trailer potrebbe aiutarvi a capire di cosa parlo, quando dico ‘mood' anni '90, ve lo metto qui sotto.
Per il sottoscritto, Tank Girl è una piccola chicca che sono lieto di condividere, perché è stata una fortunata scoperta di qualche anno addietro, che ormai ho visto e rivisto piacevolmente svariate volte nel corso degli anni, sempre divertendomi un sacco.



domenica 27 settembre 2015

Drag Me to Hell: Un viaggio infernale



Ah, Sam Raimi, maledetto…perché non sforni qualche film horror un tantino più spesso?

Detto da una delle poche persone che non si divertono con le pellicole dei supereroi (che quindi mai ha visto e mai vedrà l’uomo in calzamaglia da ragno) per me è come se questo splendido regista avesse dormito dai tempi della trilogia di Evil Dead terminata nel 1992, salvo poi risvegliarsi, col piede giusto, con Drag Me to Hell.
Raimi gode di uno stile tutto suo nel portare su schermo orrori demoniaci e truculenti, facendo emozionare, spaventare ma anche sorridere lo spettatore, ed è per questo che in vita mia avrei voluto assistere a molti più film provenienti dalle sue mani, e sono gli stessi motivi che oggi mi portano a consigliare la visione di Drag Me to Hell, nel caso questo film del 2009 fosse passato al di sotto dei vostri radar.

La trama è semplice ma nondimeno interessante: ci viene raccontata la storia di Christine, una giovane ed attraente ragazza che lavora come impiegata all'ufficio prestiti di un grande istituto di credito. La sua vita scorre lieta e felice con il suo compagno e, per quanto possibile, Christine tende a portare questa sua positività anche a lavoro, essendo a volte piuttosto ‘morbida’ nei suoi prestiti.
In ufficio però è tempo di promozione e un collega arrivato da poco, privo di scrupoli, si sta dimostrando più efficiente ed oculato negli affari rispetto a lei, agli occhi del supervisore che poi dovrà decidere chi promuovere. Sarà tempo quindi per Christine di lasciare a casa la sua solita tenerezza, e la prima a subirne le conseguenze sarà una vecchietta zingara, all’apparenza anche cagionevole di salute: la Signora Ganush, alla quale Christine negherà (non senza dispiacere) un prestito perché mancano le garanzie.
La signora si sentirà fortemente umiliata dalla giovane e, prima di andarsene, scaglierà su di lei una tremenda maledizione. Christine, da quel giorno, vivrà in un incubo.



Ci sono veramente un sacco di cose che funzionano egregiamente in Drag Me to Hell.
Prima di tutto la regia, splendida, che aiuta a mantenere un ritmo sostenuto, con nuovi eventi e nuove situazioni che colpiscono lo spettatore e lo intrattengono, senza fornire mai tempi morti.
Il tutto realizzato fondendo (con quella vena unica che solo Raimi possiede) scene splatter e scene disgustose a scene di tensione, di classico ‘spavento’, di drammaticità o tenerezza, il tutto mantenendo un'ottica grottesco/fumettistica del tutto speciale.
In gamba anche tutto il cast, dalla notevolissima (e a parer mio anche molto bella) attrice protagonista Alison Lohman fino ad arrivare all’azzeccatissima ed inquietante zingara interpretata da Lorna Raver, un cattivo che per una volta non è la solita macchietta senza spessore, ma arriva anche ad essere condivisibile, e comprensibile, nel suo agire.

Tutto il film, in una parola, funziona.
 
Non lo si può definire horror/comedy, perché di situazioni ridicole non ne presenta e non ne vuole neanche avere, tuttavia vi lascerà con più di un sorriso stampato sul volto.
Questo perché Drag Me to Hell è un film onesto, profondamente anni ’80 in tutto e per tutto, nell’anima, con le sue esagerazioni forzate ma che non stonano mai e, anzi, sono così belle proprio perché senza contegno.
Persino il finale è molto ben organizzato, cosa si può volere di più?

Concludo segnalandovi che il buon Sam Raimi questo Halloween (31 Ottobre) ci presenterà una serie TV horror di 10 puntate basata su Evil Dead (dirigendone anche il primo episodio) di nome Ash vs Evil Dead, che vedrà tornare nel suo ruolo nientemeno che il Re in persona, Bruce Campbell, per una serie che non mancherò di recensire, qual’ora il risultato finale dovesse essere buono tanto quanto lo è la premessa.
Spero che questo nuovo riavvicinamento all’horror di Raimi scateni nel regista un’ondata incontrollabile di nostalgia, che gli faccia venir voglia di cimentarsi di nuovo con un lungometraggio, perché personalmente ho bisogno di registi di questo calibro nel campo dell’orrore.
Registi capaci di presentare prodotti originali, non il solito filmetto di torture o di teenager che muoiono per mano dell’uomo che indossa la prima maschera che gli è capitata in mano, ho bisogno di vedere più spesso film indipendenti dagli schemi, classici ma al contempo originali, esattamente come è stato questo Drag Me to Hell.

Da vedere.


venerdì 25 settembre 2015

Black Books: Absinthe, do you know it? The drink that makes you want to kill yourself instantly



Oggi voglio consigliarvi un prodotto molto leggero ma che mi sta davvero a cuore e che dovrebbe, a parer mio, essere decisamente più conosciuto.
Si tratta di Black Books, una sitcom Britannica trasmessa da Channel 4 con il solito piccolo format da 25 minuti (come vi dicevo, oggi si viaggia leggeri) assolutamente esilarante.

Scritta e ideata da Dylan Moran, qui anche protagonista (un attore che è un vero spasso, era il co-protagonista assieme a Simon Pegg in Run Fatboy Run, se vi è capitato di vederlo), la serie, che ha vinto il premio BAFTA come Best Situation Comedy nel 2000, si articola in 3 stagioni andate in onda tra il 2000 e il 2004, da 6 episodi l’una per un totale di 18 puntate, una più bella dell’altra.

Lo show è ambientato nell’omonimo ‘Black Books’, una piccola libreria di quartiere situata nel cuore di Londra. A gestirla è l’alcolizzato Bernard Black (interpretato da Dylan Moran), un misantropo squattrinato che non fa altro che bere e fumare e che odia interagire con i clienti, che reputa una massa di persone ineducate e fastidiose. Ovviamente la cosa non fa bene agli affari, e l’ultimo assistente di Bernard infatti è letteralmente scappato. Accanto alla sua libreria c’è un piccolo negozio di articoli da regalo gestito da Fran (Tamsin Greig), una donna che condivide gli stessi vizi di Bernard in fatto di alcol ma che ha una visione più normale e meno nichilista del mondo, ed è, fondamentalmente, una delle uniche persone con le quali Bernard non odia parlare. Fran si trova spesso al Black Books a fare due chiacchiere, e la cosa diventerà più interessante del solito all’arrivo di Manny (Bill Bailey) un ragazzo solare e positivo alla ricerca di lavoro, che vorrebbe farsi assumere come assistente alla libreria di Bernard. Quest’ultimo, ovviamente, preferirebbe farsi togliere un dente del giudizio piuttosto che avere a che fare con un nuovo essere umano.



Questa commedia, che sfocia nel Black Humor, è una di quelle tipiche sitcom Britanniche a contesto fisso e con pochi personaggi, come per esempio la grandissima IT Crowd, che vedeva due geek e una improbabile neo-manager cercare di barcamenarsi all’interno di una importante Industries di informatica, solo che in questo caso la nostra vicenda ha luogo in una sporchissima libreria gestita da un Irlandese pazzo furioso. A funzionare e a rendere questa serie grande (proprio come, ripeto ad esempio, IT Crowd) nonostante i pochi elementi sono le situazioni a tratti surreali, l’humor e i personaggi azzeccati, in un mix che lavora alla perfezione, e che crea di volta in volta puntate uniche, divertenti e sempre imprevedibili.

Lo show è stimato da molti comici Inglesi di prim’ordine, che infatti faranno le loro comparsate in ruoli più o meno minori nel corso delle tre stagioni, personalmente ricordo con piacere di aver identificato Simon Pegg, Nick Frost e Martin Freeman, ennesima controprova della qualità della serie.

Non mi dilungherò oltre, perché Black Books è un prodotto semplice che non ha bisogno di un libretto di istruzioni, ed è in grado di farsi apprezzare fin da subito. Dopo una prima puntata ‘introduttiva’ infatti, necessaria per fornirci i motivi e le situazioni che porteranno alla creazione del trio protagonista, già dalla seconda puntata saremo catapultati nel cinico mondo di Bernard Black e della sua libreria, e i 18 episodi di cui è composta la serie voleranno via fin troppo in fretta, lasciandoci però, alla fine, con un sorriso stampato in volto che impiegherà invece diverso tempo a lasciarci. 

Consigliatissima.


giovedì 24 settembre 2015

Tucker and Dale Vs Evil: Non aprite quel granaio



Siete pronti a sentire una trama davvero originale? Allacciate le cinture!
Un gruppo di teenager di città, che si dividono gli stereotipi del college tra la cheerleader, il secchione, il capitano della squadra di baseball, e così via, decideranno di lasciare le loro comodità quotidiane per recarsi nei boschi a trascorrere un weekend di camping all’insegna di alcool e sesso. Ma a turbare la quiete ed il divertimento, ci saranno gli abitanti del luogo, spaventosi ed inquietanti campagnoli che non gradiscono gli stranieri...ed il sangue inizierà a scorrere.

Immagino che giunti a questo punto lo stupore vi abbia del tutto travolti.
Non avrete mai sentito altri film con questa premessa prima, non è vero?
O forse si, circa…un centinaio di volte almeno!
Quando un regista, infatti, ha voglia di fare un horror ma non ha idee, probabilmente è esattamente questa la trama che deciderà di mettere in piedi: prendere un paio di belle ragazze e due fusti, dargli un cartellino col nome ed il loro ruolo all’interno del college di turno, ed iniziare ad ucciderli uno ad uno.

Il problema è che non scherzavo all’inizio, Tucker and Dale Vs Evil è davvero un film straordinariamente originale.



Il perché è presto detto. Per una volta l’horror non verrà vissuto dalla parte delle vittime, ma da quella dei 'campagnoli pazzi' che, oltretutto, pazzi non sono. Il buon Tucker ed il simpatico Dale infatti avranno pure il viso squadrato, la pelle rovinata dal duro lavoro nei campi, il passo malfermo e l’assenza di qualche dente, ma sono persone buone, simpatiche, che si stavano facendo i fatti loro ed ora osservano con genuino interesse ed amicizia il camper dei teenager avvicinarsi alla stazione di servizio alla quale anche loro, vicino casa, stavano facendo rifornimento. Il problema invece risiede proprio nei teenager. I viziatelli figli di papà inizieranno a reagire malamente a qualsiasi tentativo di approccio e di saluto da parte dei nostri hillbillies. Ma perché? Perché hanno la testa piena zeppa di stereotipi, avendo visto gli stessi film dell’orrore che abbiamo visto anche noi.  

La loro reazioni esagerate, le assurde contromisure a un pericolo che non esiste, porteranno ad un massacro.

Tucker and Dale Vs Evil, del 2010, è una horror/comedy geniale e davvero divertente.
Gioca con i canoni del genere slasher, montandoli e smontandoli a piacimento e regalandoci, nel frattempo, grasse risate e anche diversi twist. Eccezionali i due campagnoli, facce di bronzo quali Alan Tudyk (il buon pilota di Firefly, attore ironico come pochi) e Tyler Labine, il protagonista di Reaper.

Tra uccisioni involontarie, semi-suicidi ed incomprensioni ridicole, la trama scorre senza intoppi, creando un mix tra risa e sangue che funziona davvero, ed ufficializza quello che, per me, è uno degli horror/comedy meglio riusciti degli ultimi anni.

Molto consigliato.