lunedì 31 agosto 2015

Bed Time: Chiudere bene la porta non basterà



Bed Time (titolo Italiano, ma potreste esservi imbattuti nello Sleep Tight internazionale o nel Mientras Duermes in originale Spagnolo) è un horror thriller del 2011 che, devo dire, ho davvero apprezzato molto e che quindi mi accingo a consigliarvi.

Proviene dalle mani dello spagnolo Jaume Balagueró, la persona che assieme a Paco Plaza è responsabile della famosa saga dei REC.
Come regista “solista” Balagueró ci regala però un’opera che si distacca molto dai canoni della saga che lo ha reso famoso, sia per stile generale (con un film più orientato al thriller che all’horror), che per la totale assenza di sangue, senza contare la tecnica di ripresa, non con telecamera a mano ma con regia classica. Quindi REC è da considerarsi niente più che una (seppur dovuta) nota biografica, che ci ricorda che siamo di fronte ad un buon regista Spagnolo che è stato in grado di farsi notare anche a livello internazionale.

La storia ruota attorno a Cesar, un portiere di condominio che lavora a Barcellona. Nonostante la parvenza di calma e professionalità, Cesar è in realtà un sociopatico patologico e, sin da giovane, si reputa incapace di provare qualsiasi forma di gioia o felicità.
Uno dei suoi unici modi per provare “qualcosa” nella vita, è tentare di abbassare il livello della felicità delle persone che lo circondano, cercando di portarle ad avere un’esistenza mortificante quanto la sua. Egli mira così a rendere infelici gli inquilini del suo palazzo, con modi spesso subdoli, e ci riesce. Ci riesce con tutti, tranne che con la maledetta Clara.
Clara è una ragazza solare, sempre allegra, dolce ed ottimista, e non c’è verso di poterle togliere quel sorriso dalla faccia, o di farle passare una cattiva giornata.
Per Cesar diverrà un’ossessione. Lui deve renderle la vita un inferno, perché la vita di tutte le persone in realtà è un inferno, solo che non l’hanno ancora capito. Usando le carte in suo possesso in quanto portiere del palazzo, per esempio il fatto di possedere le chiavi di tutti gli appartamenti, Cesar inizierà a concentrarsi maggiormente sulla sua preda più difficile: la felice Clara.



Reputo Bed Time un film originale, ben scritto e che vale ad occhi chiusi l’investimento di una serata. 

La regia è pulita ed efficace, Balagueró non è certamente alle prime armi e qui lo dimostra.
Molto buona è anche la recitazione da parte del cast, personalmente ho sempre trovato gli Spagnoli in generale molto spontanei e credibili, e anche stavolta non fanno eccezione. Inutile dire che non conoscevo l’attore protagonista Luis Tosar ma, specialmente lui, lo noterete, è straordinario, capace di infondere vita e di dare un vero spessore al suo personaggio.

Bed Time è un thriller inquietante, capace di costruire pian piano la sua atmosfera grazie a delle buone situazioni. Enigmatico, psicologico, mai ‘esagerato’, si mantiene invece su un binario di stalking (se vogliamo) credibile, ed è questa, forse, la cosa che più di tutte fa paura.

Sogni d’oro a tutti.


domenica 30 agosto 2015

True Detective: Due stagioni, due tipologie di poliziesco, due grandi show



Il mio proposito di oggi vuole essere duplice. In primo luogo, come al solito, voglio consigliare un’ottima Serie TV a chi non l’avesse mai sentita nominare (anche se questa volta la vedo difficile perché True Detective è un vero successo internazionale), mentre il mio secondo scopo è quello di “difendere” se vogliamo la tanto criticata seconda stagione, che magari dovete ancora vedere (essendo piuttosto nuova, terminata giusto un paio di settimane fa) perché, a parer mio, è da consigliare senza remore tanto quanto la prima, e vi spiegherò le mie motivazioni.

Per chi non conoscesse la serie, con True Detective siamo di fronte ad uno show investigativo che opera praticamente per mini-serie, in quanto ogni stagione è autoconclusiva, godendo di un cast e una trama indipendenti ogni anno, con un caso che si sviluppa e si risolve. Per ora sono state rilasciate 2 stagioni da 8 episodi, e non si è ancora certi se HBO procederà o meno con una terza.
Nel caso vi fosse sfuggita, True Detective non è semplice “televisione”, è praticamente cinema ad episodi, per cast, regia e realizzazione. Quando si dice “da non perdere” dando davvero peso a queste parole.

Come anticipavo, però, la seconda stagione non è stata ben accolta dalla critica, cosa che sta contribuendo a ritardare e mettere in dubbio l’eventuale rinnovo dello show.
Vi voglio dire come la penso io.
Il solo “problema” della stagione 2 è che si chiama True Detective Stagione 2. Se fosse uscito un qualsiasi altro nuovo telefilm, e avesse presentato queste otto puntate, sarebbe stato osannato ed etichettato come “un grande show che compete con True Detective” ma, ovviamente, siccome c’è stata una prima stagione, splendida, la gente se ne aspettava una identica, mentre identica non è stata.
Anzi, La parola chiave dell’ultima stagione è proprio diversità, ma diverso spesso automaticamente viene identificato come ‘peggio’. 

 

A parer mio, non c’è neanche da porsi la domanda se è stata ‘meglio’ la stagione uno o la due, perché sono due cose che in primo luogo non ha proprio senso mettere a confronto.
Nella prima stagione abbiamo una straorinaria coppia investigativa (Matthew McConaughey e Woody Harrelson) invischiati in un tetro caso nell’altrettanto tetra Louisiana, alle prese con un killer seriale, mentre nella stagione due abbiamo un contesto metropolitano, in California, con un cast principale composto da ben quattro persone, tre sono investigatori facenti parte di una task force, ed uno è addirittura un gangster.
Anche solo questa breve descrizione ci fa capire come non ci siano le basi per fare un paragone.
Se anche voi, come me, siete rimasti affascinati dall’indagine dai toni occulti e dal duo straordinario della prima stagione, capite da soli come un’altra season identica sarebbe stata sbagliata, non avrebbe fatto bene a nessuno, né allo show né tantomeno a voi stessi, in quanto spettatori.
Chi poteva competere con quel duo da Oscar così affiatato?

L’unica scelta era quella di cambiare panorama, a patto di farlo ancora con la stessa qualità, ed è stato fatto. La seconda stagione si pone in maniera totalmente diversa, andando ad esplorare altri punti forti delle opere investigative, che non girano solo attorno ai serial killer. Stavolta si analizza la scena criminale di una città, fatta di cose come corruzione, appalti, interessi politici, tutte cose assenti nella prima stagione, tipiche di un contesto più cittadino. Inoltre abbiamo quattro protagonisti, quindi il doppio di vicende personali, uno di questi detective è anche una donna, ulteriore elemento di diversità, mentre un altro personaggio, come vi avevo anticipato, sta dall’altra parte della barricata, è un gangster (il bravissimo Vince Vaughn), per una vicenda quindi, stavolta, vista non solo ed unicamente dalla parte del distintivo. 

Troppe sono le differenze per fare un paragone quindi, le stagioni di True Detective sono due polizieschi agli antipodi, io stesso in cuor mio non saprei dire quali ho preferito. 

Concludo dicendo che, distaccandomi totalmente dalle critiche negative, per me insensate, non posso fare altro che consigliare True Detective in tutte le sue stagioni a chi volesse cimentarsi con uno show investigativo di massimo livello, dotato di protagonisti memorabili, sia nel primo caso che nel secondo. Che voi siate ancora digiuni di tale serie nella sua interezza, o in procinto di vedere la seconda stagione, per quel che mi riguarda potete procedere a cuor leggero, pronti a vedere della magnifica televisione.
Spero vivamente che HBO decida di metterci di fronte ad una terza run di 8 episodi l’anno prossimo, sarebbe, altrimenti, uno di quei casi dove il divertimento è finito decisamente troppo presto.


sabato 29 agosto 2015

John Dies at the End: Quando l'incomprensibile è divertente



Suonerà strano lo so, ma oggi proverò a consigliarvi un film del quale forse non sarò in grado di dirvi quasi nulla a livello di trama, ma fidatevi, è stato un vero spasso.

La pellicola in questione si chiama John Dies at the End (titolo straordinario), è del 2012 ed è l’ultimo film di Don Coscarelli, regista che si prende sempre delle discrete pause tra un’uscita e l’altra.

Come Romero e i suoi Morti Viventi o Wes Craven con gli Scream, anche questo regista horror si è affermato in primo luogo con una sua saga, quella dei Phantasm (4 capitoli) ma successivamente ha tentato la via dell’horror comedy, uscendone a parer mio più che vincitore, sfornando il fortunatissimo Bubba Ho-Tep nel 2002, che vedeva un redivivo Elvis Presley dare battaglia in un ospizio a una mummia egiziana che assimilava la forza vitale dei residenti (Elvis interpretato dal leggendario Bruce Campbell) e poi, 10 anni dopo, è arrivato John Dies at the End.

A volte ci sono i Grandi Consigli, quelle cose che vanno semplicemente sempre consigliate, perché di interesse per la maggior parte del pubblico e di innegabile qualità (che ne so, Il Miglio Verde, per esempio, non si può non averlo visto) mentre altre volte un consiglio deve essere più mirato, dato alle persone giuste, forse perché la pellicola in questione è decisamente troppo particolare per poter piacere a tutti.
Questo è il caso di John Dies at the End.
Se in vita vostra avete apprezzato film strani, horror comedy dai toni dark, se siete consapevoli che con il sangue si può anche ridere e non solo aver paura, per esempio perché invece di avere di fronte un terrificante Lupo mannaro, di mannaro stiamo osservando invece una Pecora, come in Black Sheep, se siete questo genere di persone, allora vi consiglio John Dies at the End, ad occhi chiusi.
Se invece non lo siete, ve lo consiglio comunque, perché c’è sempre caso che possiate diventarlo, quel genere di persona!



Il film è tratto da una novella omonima ad opera di David Wong (che deve essere la cosa più strana del mondo da leggere) e ci racconta la storia di un ragazzo che prende appuntamento in un pub con un giornalista, perché ha una storia sensazionale da raccontargli. C'è una nuova droga per le strade, nota come Salsa di Soia, che permette a chi ne fa uso di godere di un'esperienza extra-corporale, ad ogni dose. Chi la usa attraversa il tempo e le dimensioni, ma non solo a livello mentale, lo fa sul serio e, chi fa ritorno, spesso non è più umano. Il giornalista non crede ad una singola parola di quanto detto dal ragazzo, fino a quando questo non indovinerà esattamente l’esatto importo in denaro, fino ai centesimi, nelle tasche dell’uomo. Incuriosito da questa trovata, il giornalista inizierà ad ascoltare, rimanendo via via sempre più rapito da quello strano, truculento, ed incredibile racconto.

John Dies at the End ci presenta un giovane duo di protagonisti molto in gamba, accompagnati però anche dal grande caratterista Paul Giamatti (nel ruolo del giornalista) che è sempre un vero piacere poter vedere all’opera. Non voglio darvi altri dettagli di trama sia perché sarebbe davvero un compito arduo, sia perché meritano di essere visti con i propri occhi, ma siamo di fronte ad un B-Movie realizzato davvero con cura ed inventiva. Non aspettatevi una ‘scarsa qualità’ sotto nessun aspetto, Don Coscarelli è una persona che il cinema lo sa davvero fare e, tra cani parlanti, mostri, e persone decapitate che tutto sommato non se la passano affatto male, ha confezionato una pellicola veramente stranissima ma che, per il sottoscritto, è stata uno spasso.

De gustibus, certamente, è un concetto che vale sempre, ma io ci aggiungerei anche un: “Non puoi sapere se ti piace finché non l’hai provato”, un po’ come la salsa di soia.
Quindi, ora che sapete dell’esistenza di John Dies at the End la palla passa a voi.
Potreste rimanere sorpresi.


venerdì 28 agosto 2015

American Horror Story: Murder House non è la solita casa maledetta



Solitamente quando si consiglia di vedere una Serie TV la si consiglia tutta, o non lo si fa affatto, perché risulterebbe strano e poco sensato, ad esempio, consigliare solo la prima e la seconda stagione di Buffy, per ignorare poi le rimanenti. Però esistono alcuni show che, come format, permettono di fare questa particolare operazione semplicemente perché la trama non è continuativa tra le stagioni.
Un esempio lampante è True Detective, dove ogni stagione è diversa dalla precedente per trama e cast dando vita, quindi, a delle mini-serie che posso anche essere giudicate singolarmente.
American Horror Story si comporta esattamente allo stesso modo.
A onor del vero, ci sarebbe anche un piccolo particolare extra in quest’ultimo show: ogni stagione la trama cambia completamente ma il cast, al contrario, resta invariato. Questa trovata dà origine a esperienze interessanti, perché per esempio un attore che nella serie precedente era l’innocente vittima, nella prossima potrebbe diventare magari un freddo carnefice, o una comparsa, a seconda della nuova trama.
In ogni caso, tutta questa corposa premessa per spiegare la totale indipendenza delle stagioni di questo show era per dirvi che io, nel mio piccolo, American Horror Story lo consiglio caldamente, ma solo nelle vesti della prima stagione.
Quella l’ho trovata estremamente valida. Le successive meno.

Questa prima season denominata Murder House (del 2011) trae ispirazione dagli horror di stampo thriller/psicologico riguardanti le case infestate. Ci racconta la storia di una famiglia, gli Harmon, che recentemente hanno acquistato una nuova casa con lo scopo di trasferirsi da Boston a Los Angeles per “cambiare aria” e provare a dare nuova vita al loro matrimonio, recentemente intaccato da un avvenuto tradimento.
La famiglia è composta dalla casalinga Vivien, dalla figlia adolescente Violet e dal marito, Ben, uno psichiatra, quest’ultimo responsabile della quasi rottura del matrimonio a seguito di un tradimento, scoperto dalla moglie, compiuto con una giovane studentessa di lui. La nuova casa è per loro il tentativo di un nuovo inizio, per dimenticare il passato, ma le cose inizieranno a farsi strane fin da subito.
Una particolare vicina di casa, cinica e ficcanaso, turberà la quiete famigliare, assieme alla scoperta che la coppia che abitava la casa in precedenza prima dell’arrivo degli Harmon non si è trasferita, ma è stata vittima di un evento di cronaca nera, un omicidio/suicidio dai contorni poco chiari.
E sarà solo l’inizio. 



Ogni stagione di American Horror Story mira ad esplorare di volta in volta una differente ambientazione cara ai film di genere horror. Dopo Murder House sulle case infestate abbiamo infatti la seconda, Asylum, tutta dedicata ai manicomi, poi Coven, sulle streghe, Freak Show, a tema circense, per finire con la quinta stagione, in partenza questo Ottobre, di nome Hotel (ovvi riferimenti a Shining e pellicole affini).

Perché consiglio solo la stagione uno? Perché sono un grande fan delle Ghost House e non del resto? Assolutamente no. Non è colpa dell’argomento trattato. Semplicemente la qualità delle stagioni è andata progressivamente scemando, per qualità e contenuti, e non di poco. Mentre la prima stagione era interessante, ben scritta, con notevoli colpi di scena e spunti degni di nota, la seconda (Asylum) è per me già calata di un gradino, assestandosi attorno al “buono”, con una trama più debole, seppur guardabile, mentre la terza (Coven) la reputo semplicemente un disastro, che è anche solo difficile guardare. La parabola discendente non mi ha dato il coraggio di cimentarmi nella visione della stagione numero quattro, sulla quale quindi non mi esprimo.

Io non sconsiglio o tantomeno vieto la visione di niente a nessuno comunque, sia chiaro, però posso limitarmi a consigliare solo le cose che ho visto e che mi sono piaciute davvero, e quello è Murder House, che come mini-serie presa singolarmente funziona davvero bene. Poi è ovvio che se vi piacerà, la curiosità vi spingerà a continuare con le stagioni successive dello show, e con onestà ammetto che anche la stagione due si fa guardare abbastanza bene (poi se per caso l’ambientazione riguardante gli oscuri manicomi vi stimola particolarmente, meglio ancora) ma, nel caso vogliate poi procedere anche con la terza, non dite che non vi avevo avvisato.  

Cosa c’è di buono in Murder House? In primis la gestione di un genere se vogliamo abbastanza banale, la “solita” casa infestata, ma inaspettatamente trattando la cosa con intelligenza e originalità. Una regia solida e capace, unita ad una trama ben trattata, densa di personaggi e colpi di scena.
Il tutto condito con una prova da parte del cast molto convincente, su tutti la veterana Jessica Lange, attrice di raro carisma ed espressività.
American Horror Story: Murder House non vi spaventerà a morte, non è uno di quegli horror intesi a terrorizzare, ma vi avvolgerà invece nel suo mistero, nei suoi delitti, nei suoi personaggi, per una storia di 12 puntate tra quattro mura dannate che, a parere di chi vi scrive, vale proprio la pena di vedere.


giovedì 27 agosto 2015

Europa Report: Il fratellino di Gravity



La fantascienza è una categoria enorme del cinema. Esistono infatti tantissimi ‘generi’ di fantascienza, e non starò certo qui ad elencare le decine di differenze ora ma, se volessimo per lo meno ricondurre il tutto a due grandi tipologie, potremmo dire che ci sono i film fantascientifici “verosimili” e quelli più fantastici.
Mentre questi ultimi spaziano da navi spaziali con scudi fotonici e raggi laser, razze aliene dalla pelle blu, e cose di questo tipo (Avatar, Star Trek, Star Wars..), le pellicole di stampo invece più “verosimile” si dedicano a narrare eventi basati sulla tecnologia e sulle conoscenze che abbiamo, oppure, se vanno oltre, lo fanno mantenendosi comunque su di un livello narrativo plausibile. Di queste pellicole negli ultimissimi anni ne abbiamo avute due che hanno riscosso un enorme successo a livello internazionale, entrambe da Oscar, ossia Gravity ed Interstellar.
Esseri umani alle prese con lo spazio.
Come spesso accade, quando un genere prende piede tra i “big”, la sua eco si ripercuote anche negli ambienti meno milionari, ed è accaduto anche stavolta.
Qualche altro prodotto “simile” ai due sopracitati che tendono al verosimile infatti esiste, nato proprio nello stesso periodo, e io vi parlerò di Europa Report che, però, nessuno conosce. 

Europa Report dell’Ecuadoriano Sebastián Cordero è una pellicola realizzata davvero con cura, che non ha niente da invidiare alle produzioni più famose, semplicemente non è conosciuta perché non ha goduto della pubblicità e della distribuzione degli altri film-colosso della stessa categoria.
Europa Report ha infatti avuto una release molto limitata nelle sale Americane attorno a Giugno 2013, ha girato nei Festival e poi ha raggiunto il suo mercato prefissato, quello straight-to-DVD, mentre nel frattempo arrivava Gravity, ad Ottobre dello stesso anno a riempire tutti i cinema del mondo, mentre raccoglieva 7 premi Oscar. Non ci vuole molto a capire come un prodotto, anche buono, possa essere stato così eclissato.

Il mondo del cinema, come il mondo vero, non premia solo ed esclusivamente in base al vero merito.
Pensateci, Gravity e Interstellar sono due ottimi film (a me piacciono molto entrambi per motivi diversi), semplicemente non è 'reale' tutta la differenza che una persona potrebbe leggere sulla carta, vedendo che Gravity ha vinto sette Oscar, e Interstellar uno.
Non ci sono “Sei Oscar” di differenza (passatemi l’unità di misura) tra queste due pellicole. Proprio no, e credo sarete d’accordo con me, se le avete viste. Allo stesso modo, posso assicurarvi che non ci sono “Sette Oscar” di differenza tra Gravity e lo sconosciuto Europa Report.

E, dopo avervi annoiato fin troppo a lungo premendo sul fatto che secondo me vale proprio la pena vederlo, veniamo alla trama del film.



Sei astronauti di diverse nazionalità vengono scelti per formare un equipaggio.
A reclutarli è un’agenzia spaziale privata, che ha l’intento di riprendere le missioni spaziali dotate di equipaggio, facenti parte dei programmi spaziali del ventesimo secolo, a suo tempo interrotti.
La squadra farà il primo viaggio verso Europa, quarto satellite naturale di Giove.
E’ dal 1972 che un’astronave non lascia l’orbita della Terra, e l’eccitazione nell’aria per questa nuova missione è palpabile.
Dopo la partenza dell’astronave Europa One però, ci sarà un grave problema tecnico, che farà perdere le comunicazioni con il Controllo Missione a terra. Nonostante il silenzio radio e il conseguente isolamento dell’equipaggio, gli uomini e le donne a bordo decideranno di continuare comunque la missione. E non sarà una cosa facile.

Europa Report è un film basato su un Rapporto di Missione che, come da titolo, ci racconta proprio del “Rapporto Europa”, ossia di tutto quello che è accaduto a bordo dell’astronave Europa One, analizzando gli eventi come se la missione fosse avvenuta sul serio.
In questo modo, la pellicola si avvicina quindi ad essere un found footage, ma con questo termine non fatevi strane idee, non pensate ai vari REC o Cloverfield, film con la telecamera a spalla dalle riprese mosse, non è questo il caso. In questo contesto found footage significa solamente 'vicenda in stile realistico'. Vivremo il film dalle telecamere interne del modulo spaziale, che sono ovviamente fisse, nessuno tiene in mano un videocamera, la ripresa è ferma e chiara, praticamente registica, quasi come un in film normale. Il fatto però che la storia venga narrata tutta all’interno della nave, ci dà uno straordinario senso di immersione, con la sensazione di essere davvero li, all’interno del modulo, con l’equipaggio e la sua missione. A dare man forte allo stile veritiero di regia ci pensa una recitazione da parte del cast molto spontanea e “reale”, che ci accompagna in un’impresa dai toni cupi, nello spazio profondo, con gravi difficoltà da superare e ben pochi mezzi per farlo.

M sento di consigliare caldamente la visione di Europa Report a tutte quelle persone che masticano di fantascienza, o che si sono trovate intrattenute da film, recenti e passati, basati su missioni o eventi spaziali. Ma se anche foste digiuni di film del genere, la pellicola potrebbe comunque piacervi, perché parla di una storia di uomini, di ideali, di senso del dovere e lo fa in un modo molto vero e coinvolgente.